Ancora un’interessante riflessione del nostro affezionato lettore Renato Busillo su una questione quella dell’aggancio dell’aspettativa di vita alle pensioni che ha provocato molti malumori tra i lavoratori anche in considerazione della marcata diminuzione della stessa a causa del Covid che non né ha determinato una conseguente diminuzione in ambito previdenziale.
Dice Renato ” Ammesso e non concesso che l’aspettativa di vita si sia allungata, almeno fino ad epoca precovid, tuttavia il protrarsi dell’età pensionabile e del sistema pensionistico in generale non si sarebbe dovuto mai agganciare ad essa bensì piuttosto alla capacità che in età senile ha un lavoratore di continuare fisicamente e proficuamente la propria attività. Dopo i 60 anni tutti accusiamo dolori articolari e quasi tutti una riduzione del grado della vista e dell’attenzione, per cui i rischi e la pericolosità di incidenti, nonché quantomeno di gravi errori nello svolgimento dei propri compiti, è molto elevata. A ciò si aggiunge anche la difficoltà nel proseguire il pendolarismo casa-lavoro, i problemi più in genere per chi è per motivi vari costretto a muoversi alla guida di automezzi, minore destrezza nell’uso delle macchine o anche dei sistemi digitali (un errore a scrivere una cartella clinica può comportare infatti la pericolosa somministrazione di cure o medicinali sbagliati e nocivi!).. In altre parole tutto questo si traduce in un mix letale di rischiosità che sempre più frequentemente si sta manifestando in casi di incidenti anche mortali sul posto di lavoro o a causa del proprio lavoro.”
Voi cosa ne pensate?
Se avete una riflessione da fare al pari del nostro amico Renato che vi sta particolarmente a cuore in ambito economico/previdenziale inviatela a mauromarinoeconomiaepensioni@gmail.com se interessante sarà senz’altro pubblicata.
Vignetta di Michele Colucci